Raffaello Celommi

Primogenito di Pasquale, Raffaello Celommi nasce a Firenze il 19 aprile 1881, in un piccolo appartamento di via al prato.

 

Dopo pochi mesi dalla sua nascita, la famiglia decide di trasferirsi nel paese natale del padre, l’odierno Roseto degli Abruzzi. Alcuni testi riportano che alla base di questa scelta ci sia la salute cagionevole del bambino, per la quale i dottori avrebbero consigliato l’aria di mare. Il perché di questo ritorno in Abruzzo si può solo ipotizzarlo – e sembra ragionevole dire che Pasquale Celommi abbia pensato di avere più facilità di imporsi sul mercato meridionale – ma bisogna precisare che Raffaello, parlando di sé ai figli, non ha mai accennato a dei problemi di salute avuti in tenera età.

 

Raffaello cresce nella zona rivierasca delle quote ricettizie, frequentando le scuole locali e passando molto del suo tempo nello studio di pittura del padre. Fin da piccolo, infatti, dimostra una forte propensione per il disegno che Pasquale Celommi, ovviamente, asseconda volentieri, vedendo in lui, primo di tanti figli (quattro maschi e ben sette femmine), l’erede naturale della bottega paterna.

 

Ha solo quattordici anni, ad esempio, quando ritrae un suo coetaneo in un quadretto in cui sono già evidenti una certa sicurezza nel tratto e un uso ponderato del colore.

 

A vent’anni si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Per inserirsi nell’ambiente artistico e culturale della città può contare su alcune amicizie del padre – i galleristi d’Atri, ad esempio – ed anche sui suoi legami personali con alcune famiglie della borghesia capitolina, che ha avuto modo di conoscere durante i loro soggiorni estivi a Roseto.

 

Durante il soggiorno romano il giovane Raffaello è attratto soprattutto dalla musica e dal teatro; interessi questi che, fondendosi con lo studio accademico dei soggetti storici, si scorgono anche nelle sue opere pittoriche (come nella posa quasi da baritono di Studio di Moschettiere, 1905).

 

Terminato con profitto il corso all’Accademia, Raffaello Celommi torna a Roseto, dove comincia subito ad affiancare il padre nel lavoro, soprattutto per quel riguarda le committenze locali. Questo gli da la possibilità di soddisfare il suo personale interesse per la ritrattistica (che resterà costante per tutta la vita). Infatti in questi primi anni del secolo Raffaello non solo lavora con una particolare attenzione alla resa espressiva ai tanti ritratti che gli vengono richiesti, ma si dedica con slancio anche ad immortalare i suoi familiari. Ma soprattutto, in questo periodo Raffaello realizza alcune delle sue opere migliori ritraendo i visi dei popolani di Roseto, con una accentuata ricerca psicologica ed una chiara impronta verista (si può portare l’esempio di Ritratto di Marinaio, 1915).

 

Dalla metà degli anni ’10, il pittore lavora per i fratelli d’Atri, in particolare per la loro sede parigina, rispondendo pienamente al gusto della clientela francese e superando le aspettative dei due galleristi.

 

Se si può pensare infatti che Raffaello Celommi abbia la possibilità di proporsi a mercanti così prestigiosi come i d’Atri in virtù del fatto di essere figlio d’arte (Pasquale lavora per loro da ormai un decennio), è però vero che in breve tempo dimostra di essere all’altezza di quanto ci si aspetta da lui. Si guadagna subito una sua precisa collocazione nel mercato europeo e conquista la fiducia e la stima di Alessandro e Giulio d’Atri, e non meno di “colleghi illustri” come Francesco Paolo Michetti – che comincia a parlare di pittori della luce, includendo anche il figlio in una definizione coniata per il padre.

 

Questo è il periodo in cui i due Celommi lavorano fianco a fianco nel “castelletto”(una torretta in stile medievale che si fanno costruire appositamente sul mare), concentrando la loro attenzione sulla luce dell’Adriatico e sulla narrazione della vita rivierasca.

 

Le tele di Raffaello – in particolare le marine di questi anni – in cui è facile riconoscere, ad una prima lettura, la sola lezione paterna – in realtà partecipano in maniera diretta al ricco dialogo artistico dell’epoca. Raffaello è della stessa generazione di autori come Tommaso Cascella – di cui è amico – e Scarselli, e nelle sue tele rielabora in modo personale le nuove direzioni che vengono a crearsi nell’ambito del verismo.

 

Le sue opere dimostrano una completa interiorizzazione dell’esempio palizziano, un rinnovato dialogo coloristico con le istanze d’oltralpe e, soprattutto, una sua propria rivisitazione del più riuscito paesaggismo di Paolo de Cecco.

 

Negli anni ’20 Raffaello è tra i tanti che in un primo tempo aderiscono al partito fascista  (prendendo parte anche alla Marcia su Roma), partecipando molto alla vita politica di Roseto (di cui sarà sindaco per un paio d’anni, fino al ’26). Questa breve passione, comunque, non traspare mai nelle sue opere coeve.

 

Nel ’28 muore Pasquale Celommi ed il figlio gli dedica un ritratto intenso da cui si percepisce tutta la stima per la figura paterna.

 

L’anno seguente Raffaello sposa la romana Luigia Rosati, figlia del direttore dell’Accademia di Santa Cecilia, Luigi Rosati. Dal matrimonio nascono due figli: Pasquale e Luigi, che diventerà allievo del padre.

 

In questi anni il pittore, da sempre restio a queste occasioni, partecipa ad alcune mostre, ottenendo il favore del pubblico soprattutto alla I Mostra Marinara del 1930.

 

Gli anni ’40 e ’50 sono quelli in cui Raffaello, seppur rimanendo fedele a se stesso, più che in ogni altro momento dimostra di sapersi evolvere nell’espressione pittorica, dando vita ad opere originali e moderne, in cui si riscontra una nuova ricerca tonale, di cui è esplicito esempio è La vecchia fornace (1946).

 

Raffaello Celommi muore a settantasei anni il 3 marzo 1957.